Il campo dei Pastori (Lc 2, 8-20)
di Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB, Bologna 1994, pp. 63-65
Dono da chiedere per la preghiera
- Contemplare con uno sguardo semplice il mistero della natività
- Credere e obbedire all’annuncio per sperimentarlo e comunicarlo
Lc 2, 8 “C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14″Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”. 15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.
Punti per la meditazione
v.8: “E c’erano pastori in quella regione”. Sono i protagonisti di tutto il brano. Come i primi discepoli da pescatori diverranno pescatori di uomini, così è da scorgere in questi pastori coloro che poi saranno i pastori nella chiesa di Dio. Sono i primi che hanno creduto alla Parola, hanno trovato il bambino, lo riconoscono come salvatore e lo annunciano. I pastori appartengono a un’infinita categoria sociale religiosa. Proprio per questo sono abilitati a riconoscere l’Agnello nel bambino.
v.9: “E un angelo del Signore, ecc.”. La nascita del Salvatore deve essere svelata dall’angelo. Angelo significa: “Colui che annuncia”. Attraverso lui ci viene la buona notizia del Dio che si è donato a noi. E’ necessario l’annuncio perché la nascita di Dio in mezzo a noi non può essere dedotta da nessun ragionamento né prodotta da nessuno sforzo umano. Nessun’altra premessa, se non la promessa di Dio, è in grado di farci conoscere il dono di Dio. Con la nostra ragione, certamente non cercheremmo in quella direzione: noi cercheremmo un Dio grande, tremendo, potente e glorioso, il dio della nostra paura (Gn 3,10). Qui un Dio piccolo, tremante, impotente, che si offre come cibo nella mangiatoia degli animali.
Era necessario che si rivelasse e ci desse i criteri per riconoscerlo. Questa rivelazione è fatta ai pastori. “Dio infatti ama parlare con i semplici” (Pr 3,23 Vg): non si rivela ai prudenti e ai sapienti (10,21), ma “ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,28). Lui stesso, perché ricco di amore per noi, si è fatto povero per noi per arricchirci della sua povertà (2Cor 8,9). Per vederlo bisogna essergli vicini. Chi può riconoscere nella sua piccolezza di Agnello “il Pastore grande delle pecore” (Eb 13,20) se non dei piccoli pastori? Il cammino che essi fanno per scoprire l’Agnello, li costituirà a loro volta i pastori e angeli, servi della parola che annunciano. Ai credenti d’Israele Dio si rivolge con la parola dell’annuncio (=angelo); ai gentili si rivela con la stella, simbolo della luce e della ragione, che porta a Gerusalemme dove viene loro data la Parola (cf. Mt 2,1-12). L’annuncio è determinante comunque per riconoscerlo.
v.10 : “evangelizzo a voi una grande gioia, la quale sarà per tutto il popolo”. Il vangelo, la gran de gioia messianica, è data a pochi e, mediante questi, a tutto il popolo. E’ l’economia dell’incarnazione, cui Gesù e il vangelo sottostanno: l’universale è mediato dal singolare, la parte del sacramento del tutto. La creatura è limitata nello spazio e nel tempo. La sua condizione di limite si supera nella trasmissione dell’annuncio, che dilata lo spazio della comunità fino agli estremi confini della terra e apre il tempo dell’eternità.
v.12: “questo per voi il segno: troverete un bambino”. (cf. Is 7,14;9,5). L’annuncio ci racconta la nascita di Gesù-anticipo della sua morte e di tutta la sua vita- come “segno”: la carne del Nazareno, la sua storia concreta, è il segno definitivo della salvezza che Dio ha offerto e offre oggi e sempre a ogni uomo che capisce e accoglie l’annuncio. Il “bambino” è il segno stesso di Dio. Per capire che è lui, all’anselmiana definizione come “colui del quale non si può pensare nulla di più grande”, è da contrapporre quella evangelica: Dio è colui del quale non si può pensare nulla di più piccolo. Infatti “il più piccolo tra voi, questi è il più grande” (9,48), Dio stesso. La grandezza dell’amore consiste nel farsi piccolo per lasciare spazio a tutti e proprio la sua piccolezza estrema dimostra la grandezza di chi si fa solidale con tutti, cominciando dall’ultimo. Il bambino di Betlem non diventerà mai grande, ricco, sapiente e potente. Crescerà solo nella sua piccolezza. La sua nudità, sulla croce, sarà solo più grande.
Su questo presepe tutto il cielo celebra la sua liturgia celeste. Si solleva il lembo del manto di Dio; vediamo la sua gloria. Che a lui viene resa sulla terra. Nella fede terra e cielo si specchiano in un’unica festa. E’ giunta finalmente la pace promessa agli uomini, a tutti gli uomini, perché egli li ama. Qui è il luogo dove si compie la volontà di Dio “come in cielo, così in terra”. Tolta ogni distanza tra Dio e uomo, la sua altezza si è abbassata perché lo possiamo raggiungere, la sua grandezza si è concentrata nel bambino perché lo possiamo abbracciare.
v.15: “Andiamo e vediamo”. Seguendo l’annuncio i pastori intraprendono il cammino di fede, esemplare per ogni credente, che li porterà a glorificare a e a lodare Dio per tutto quello che hanno udito e visto, come era stato detto loro (v.20). Senza obbedienza non si può ovviamente verificare l’oggetto dell’annuncio. Ad essa i pastori si incoraggiano l’un l’altro: “Andiamo” e “vediamo” questa parola che è “accaduta” e il Signore “ha notificata a noi”. L’annuncio muove i piedi per vedere il fatto che la parola ha reso noto. Prima c’è l’udire, poi l’andare, poi il vedere. L’annuncio trova la sua verifica nell’obbedienza della fede e questa ha la sua origine nella parola annunciata con cui il Signore ha fatto conoscere il fatto salvifico. La certezza che tale parola comporta è indeducibile con ragionamenti: è un’apertura del cuore che il Signore opera (At 16,14), una trafittura che accompagna l’annuncio (At 2,37); perché la “parola di Dio è viva, efficace” (Eb 4,12) e porta ad accoglierla “non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete” (1Ts 2,13).
Tutti possiamo giungere a questa fede, perché siamo fatti a immagine di Dio, e la sua Parola in noi trova subito risonanza. Bisogna però superare le resistenze e schiavitù della menzogna che ritarda e lega la nostra accoglienza della Parola, in modo che andiamo e vediamo ciò che abbiamo conosciuto.
v.16: “E andarono in fretta”. I pastori, che vanno senza indugio, sono modelli di fede. Essa porta speditamente alla scoperta di ciò che è già avvenuto. Il fatto, anche se rivelato dall’annuncio, senza fede resta nascosto. Solo questo lo fa scoprire.
v.17: “Ora visto, notificarono circa la parola che, ecc.” I pastori “vedono” la realtà di ciò che il Signore ha fatto loro conoscere. Ed è tanto importante che non possono trattenersi dal renderlo noto agli altri. Chi crede, sperimenta che è vero ciò che crede. Se credo a chi mi dice: “Il pranzo è pronto” e vado a mangiare, vedo, se è vero, che è vero ciò che mi ha detto. I pastori hanno ricevuto l’annuncio, hanno creduto e hanno visto; ora annunciano a loro volta. Ciò che gli angeli hanno fatto in cielo, i pastori continuano a farlo sulla terra: diventano angeli, mediatori della parola, per portare altri a vedere ciò che Dio ha promesso.
Si profila la dinamica missionaria della chiesa: l’annuncio porta all’ascolto, l’ascolto alla visione. A sua volta, chi ha visto porta ad altri l’annuncio, perché attraverso l’ascolto giungano alla visione e quindi ancora all’annuncio, “fino agli estremi confini ella terra” (At 1,8).
v.18: “E tutti… si stupirono”. La prima reazione al loro annuncio è meraviglia. È il primo gradino di un cuore che si apre ad accogliere qualcosa di nuovo, per lui incredibile. E’ la prima reazione positiva, di colpo accusato, nei confronti dell’annuncio di “tutti” quelli che ascoltano.