Lo stile mite di Gesù
Tratto da J. Ratzinger – Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, Rizzoli 2007, 104-105
Nella Bibbia greca la parola praeîs (al singolare praýs) (“mansueti- miti”), che racchiude in sé una ricca carica di tradizione, è la versione del vocabolo ebraico anawim, con il quale venivano definiti i poveri di Dio… Nel Libro dei Numeri si legge: “Mosè era un uomo molto mansueto, più di chiunque altro che è sulla terra (12,3) Chi non penserebbe in questo contesto alla parola di Gesù: “ Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29)? Cristo è il nuovo, l’autentico Mosè in lui si rende presente quella pura bontà che si addice proprio a Colui che è grande, che esercita il dominio.
Veniamo condotti ancora più in profondità, se prendiamo in considerazione un ulteriore elemento di rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, che vede ancora al centro la parola praýs- mansueto/mite. Nel profeta Zaccaria troviamo la seguente promessa di salvezza: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile (mansueto), cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri… l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare “ (9,9s). Qui viene annunciato un re povero – uno che non regna per mezzo del potere politico o militare. La sua natura più intima è l’umiltà, la mansuetudine di fronte a Dio e agli uomini. Questa sua natura, che lo oppone ai grandi re del mondo, si manifesta nel fatto che elgi giunge cavalcando un’asina – la cavalcatura dei poveri, immagine contrastante con i carri da guerra che egli esclude. È il re della pace – lo è grazie alla potenza di Dio, non in virtù del potere proprio.
E s’aggiunge ancora un altro aspetto: il suo regno è universale, abbraccia tutta la terra. “Da mare a mare” – dietro questa espressione c’è l’immagine del disco terrestre circondato dalle acque, che ci fa intuire l’estensione universale della sua signoria. Karl Ellinger può quindi dire a ragione che a noi “attraverso tutte le nebbie si rende visibile con singolare nitidezza la figura di Colui che, rinunciando nella sua obbedienza di Figlio ad ogni uso della violenza soffrendo finché il padre non lo ha salvato dalla sofferenza, è superiore ad ogni ragione e adesso, semplicemente mediante la parola della pace, costruisce continuamente il suo regno”. Solo così comprendiamo tutta la portata del racconto della Domenica delle Palme, comprendiamo il significato di quanto ci viene raccontato da Luca (cfr. 19,30) (e in modo simile da Giovanni), ovvero che Gesù ordina ai discepoli di procurargli un’asina con il suo puledro: “Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato anunziato dal profeta.
Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina…” (Mt 21,4s; cfr. Gv 12,15). La traduzione italiana, purtroppo, ha offuscato questa connessione usando, per la parola praýs, di volta in volta parole diverse. Nell’ampio arco di questi testi – dal Libro dei Numeri (cap 12) a Zaccaria (cap. 9) fino alle Beatitudini e al racconto della Domenica delle Palme – diventa riconoscibile la visione di Gesù, re della pace, che forza i confini che dividono i popoli e crea uno spazio di pace “ da mare a mare”. Con la sua obbedienza ci chiama dentro questa pace, la pianta dentro di noi. La parola “mansueto, mite” appartiene, da un parte, al vocabolario del popolo di Dio, all’Israele divenuto universale in Cristo, ma è allo stesso tempo una parola regale, che ci dischiude la nuova regalità di Cristo. In questo senso potremmo dire che è una tanto cristologica quanto ecclesiologica; in ogni caso ci chiama a seguire Colui che, entrando a Gerusalemme sul dorso di un’asina, rende manifesta tutta l’essenza del suo regno.