Il volto misericordioso di Gesù
tratto da Karl Adam, Gesù il Cristo, Morcelliana Brescia 1935-1994, 106-109.
È interessante in sommo rado analizzare nella fisionomia spirituale di Gesù le prove dell’amore suo per gli uomini. L’atto fondamentale della carità di Gesù è la compassione per le sofferenze elgi uomini; compassione nel senso etimologico di “patire insieme”. Ciò che differenzia il suo amore dalal filantropia dei saggi e dei filosofi sta in questo: esso non è solo ammaestrare, ma vivere, anzi soffrire e morire con gli uomini.
Non si limita solo a vedere la miseria del prossimo e a interessarsi di soccorrerla, ma penetra in questa miseria. Non può rassegnarsi a conoscerla senza prenderla personalmente sopra di Sè. L’amore di Gesù balza oltre le barriere del proprio cuore, per includervi gli altri, o meglio per lanciare se stesso negli altri, per vivere e soffrire negli altri.
Questi altri sono sopratutto i più poveri tra i poveri, i pubblicani e i peccatori. Per questo si intrattiene frequentemente con loro. Non solo li chiama a Sé, mi si fa ospitare da loro. “ Zaccheo, affrettati a scendere, ché oggi deve dimorare a casa tua!” (Lc 19,5). Chiama suoi “fratelli” i più meschini tra gli uomini, i diseredati, le esistenze straziate. Egli sa condividere tanto intimamente, tanto personalmente la loro sorte che dichiara fatto a Se stesso ciò che si fa per il più piccolo dei suoi fratelli (cfr. Mt 25,40).
Da quest’intima unione personale coi poveri e cogli oppressi si sente spinto, nel momento più sacro della sua vita, all’inizio della cena pasquale, a inginocchiarsi come un servo, come uno schiavo, dinanzi a loro e a lavar loro i piedi. Non è “venuto per essere servito ma per servire”. E quando benedice il pane e il vino, questo sentimento di solidarietà fraterna, questo desiderio ardentissimo di inserire nel suo essere purissimo, nella sua vita e nella sua morte la moltitudine degli uomini per santificarla, si esprime con quelle parole di così misteriosa potenza: Mangiatene e bevetene tutti, chè questo è il mio corpo, questo il mio sangue!
Coi poveri Egli vuol essere povero, coi reietti reietto, coi tentati tentato, coi morenti vuol essere crocifisso. Tutte le miserie umane vuol possedere e portare in Sé poiché lui solo ha il potere di superarle…
Qui sfioriamo il mistero del Messia. Tale solidarietà, o meglio tale eccesso d’amore materno e creatore, che prende sopra di Sè le miserie di molti come sue proprie e le porta fino alla morte cruenta, è cosa talmente nuova e unica nella storia, talmente commovente e affascinante per noi tutti, che siam costretti a dire: se mai v’è una patria vera per gli uomini, se v’è un luogo in cui possono trovare requie per le lor anime, tale luogo non può essere che questo…
Tra tutte queste realtà dolorose, v’era un punto che sopra tutti gli toccava il cuore, alla cui presenza il suo cuore diventava tanto tenero e molle come quello di una madre che piange sul figlio malato, un argomento che gli suggeriva le parole più tenere, le parabole più commoventi, come quella del figliuol prodigo, della pecorella e della moneta smarrita, del buon pastore, del samaritano pietoso.
Questo avveniva in presenza dei malati e dei peccatori.
Non può dir di no, quando la sofferenza fa giungere a Lui il suo grido, anche quando si tratta di una pagana, d’una siro-fenicia (Mc 7,26 ss). Egli deve guarire i malati, anche se poi ne trarrà pretesto l’accusa di violazione del sabato (Mc 1,23; 3,2; Lc 13,14). Egli deve essere compagno del pubblicano e del peccatore anche se si scandalizzano i devoti osservanti della Legge (Mc 2,16). Egli è costretto pur in mezzo alle opprimenti torture della morte, a dire a buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso!” (Lc 23,43).