Il vitello d’oro
di Marco Tibaldi
(tratto da M. Tibaldi, La mano e il bastone. Personaggi in cerca di attore: Mosè, Pardes, Bologna 2012)
Il vitello d’oro (Es 32)
Come è possibile rompere un’alleanza appena siglata? La frattura comincia ancora una volta da un vedere: “il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte” (Es 32, 1).
Proviamo a entrare nello sguardo del popolo in questo momento
Il popolo secondo me
Immaginando di essere un membro del popolo che, dopo due o tre settimane, ‘vede’ che Mosè non scende dal monte dove si trova con Dio chiediamoci: cosa si prova e si pensa di fare?
– Ma perché Mosè non torna? Forse ci ha abbandonato. Ecco Dio fa sempre delle preferenze e noi non contiamo nulla? Cosa abbiamo da meno di lui? Perché questo lungo silenzio: lui sta là con Dio a parlare faccia a faccia e noi qui ad aspettare: non è mica giusto! Ma chi si crede di essere. Non abbiamo tutto questo tempo da perdere. –
– Diamoci una mossa, in fondo abbiamo capito chi è Dio, non abbiamo più bisogno di Mosè. Chiediamo ad Aronne di dare una forma ai nostri pensieri…
– Aronne la pensa esattamente come loro. Pensa di aver capito chi sia il Dio di Mosè: in fondo non è altro che un prolungamento di ciò che c’è di più prezioso sulla terra: l’oro e i gioielli uniti alla potenza sessuale dell’animale più fecondo, il toro.
Ad esso attribuiscono la liberazione dall’Egitto ed ora a lui rendono culto. Sono soddisfatti perché è un dio a portata di mano che pensano di aver decodificato, e quindi di poter utilizzare a loro piacimento.
Chi è più buono: Dio o Mosè?
Nella pericope successiva siamo di nuovi posti di fronte alle sfide dell’utilizzo dei generi letterari. Davanti allo spettacolo del popolo che si allontana dai comandamenti di Dio (Es 32,7-9) ci viene presentata l’ira di Dio che si accende contro Israele: “Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione” (Es 32, 9).
Mosè sembra narrativamente più buono: “Allora supplicò il Signore… desisti dall’ardore della tua ira… ricordati di Abramo Isacco di Israele” fino a far cedere il Signore che addirittura si pente: “Il
Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14). Cosa ci vuol dire il testo? Certamente non che Mosè è più misericordioso di JHWH, ma piuttosto che la relazione con Dio che il profeta ha instaurato è vera e autentica. Sul modello del colloquio di Abramo con JHWH (Gen 18) prima della distruzione di Sodoma, anche Mosè può discutere con Dio ‘da pari a pari’, come un amico parla con il proprio amico. E Dio ascolta le ragioni di Mosè fino a ‘cambiare idea’ rispetto al proposito iniziale.
In questi dialoghi, si vuole mettere in luce sia la confidenza che si instaura tra Mosè e Dio sia quanto sia cambiato il cuore di Mosè. Nell’ultimo dialogo con JHWH, Mosè, che pure non fa sconti al popolo per la sua mancanza di fedeltà, si è però talmente identificato con esso da volerne condividere la sorte anche se lui non ha colpa: “Ma ora se tu perdonassi il loro peccato… altrimenti cancellami dal tuo libro che hai scritto!” (Es 32,32). All’inizio della sua vicenda di ‘liberatore’ Mosè di fronte al fallimento della sua relazione con il popolo era fuggito, ora invece è talmente solidale con esso da volerne condividere la sorte anche se potrebbe evitare di farlo.
Ciò non gli impedisce però di rompere le tavole della legge come segno tangibile della rottura dell’alleanza, di frantumare il vitello “fino a ridurlo in polvere” per farlo poi mangiare agli israeliti.
Con questo gesto, si vuole visualizzare il fatto che il peccato era entrato in loro era divenuto il loro cibo. Come sempre, non si è trattato di una piccola trasgressione, ma di una scelta di campo: o il vitello o JHWH, perché ciascuno vive di ciò che mangia. Infatti Mosè “vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno” (Es 32,25). Qui Mosè opta per una soluzione radicale: radunati i figli della tribù di Levi chiede loro di uccidere tutti coloro che si erano contaminati con il vitello. Questa strage è posta sotto la benedizione di Dio, il quale come abbiamo notato già più volte, acconsente ad essere capito ‘storicamente’. Dio cioè accetta di essere capito parzialmente ed in certi casi, come questo, anche di essere frainteso pur di rimanere implicato nella storia degli uomini. A poco a poco si chiarirà sempre di più il suo unico volto, fino ad arrivare a Gesù che ha condannato definitivamente ogni forma di giustificazione della violenza in nome di Dio o degli uomini.
Vedere Dio
Nel capitolo 33 il popolo si rimette in marcia per dirigersi verso la terra promessa. La scelta fatta nei confronti del vitello non è priva di conseguenze. Dio non può essere direttamente presente in mezzo al suo popolo: “Il Signore disse a Mosè: ‘riferisci agli Israeliti: voi siete un popolo dalla dura cervice; se per un momento io venissi in mezzo a te, io ti sterminerei” (Es 33,5). Con il linguaggio duro dello sterminio si comunica una verità esistenziale ben precisa: le scelte del popolo e quelle di Dio sono al momento incompatibili, occorre un training di riavvicinamento, di scelta e di purificazione per poter stare di nuovo di fronte al volto di Dio. Per questo motivo, ora la tenda di Mosè si trova fuori dall’accampamento: solo chi lo desidera veramente si recherà da lui per trovare un consiglio o ricevere una sentenza da Dio: “Mosè a ogni tappa prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, ad una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore” (Es 33,7).
All’interno della tenda ,Dio incontra Mosè e “Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico”. Quest’ultima parola reah viene dal verbo raah “pascere” da cui roeh “pastore” quindi “il reah è colui con cui si condivide il pascolo, quello col quale si mangia, il ‘commensale’, il ‘convitato’ quello con il quale si ha comunità di vita” (Auzou, 2008, 277).
Mosè chiede a Dio continue rassicurazioni sulla sua presenza alla guida del popolo, altrimenti non potrà portare a termine la missione che gli è stata assegnata. All’interno di questo dialogo continuo con il Signore si trova la richiesta finale: “Mostrami la tua gloria!” (Es 33,18). In queste parole si cela il desiderio dell’uomo di poter vedere il volto di Dio. A questi Dio risponde che l’uomo potrà vedere “passare la propria bontà” e potrà osservarlo nel mentre farà grazia e misericordia a chi vorrà “ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,20).
Ancora una volta Dio dà all’uomo tutto quello che ha e che è, ricordandogli però il proprio limite, che non gli consente di vedere, di possedere, di esaurire, di comprendere totalmente l’identità di Dio. Per questo Mosè potrà osservare il passaggio di Dio come da dietro le spalle: “Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere” (Es 33,23).
La buona notizia
Dio non abbandona gli uomini anche quando questi lo mollano per seguire altri dèi.
Dio entra in rapporto di vera confidenza con Mosè come fa un vero amico. Non è un rapporto funzionale di utilità reciproca. Esiste però uno scopo comune che cementa ulteriormente la loro amicizia.
Dio si rende percepibile fino al punto massimo consentito all’uomo, non tiene nulla per sé.
Dio viene presentato come un amante geloso appassionato al proprio partner.