Il senso dello Shabbat
di Giovanni Paolo II
(tratto da Dies Domini, nn.11-15)
Lo « shabbat »: il gioioso riposo del Creatore
11. Se è esemplare per l’uomo, nella prima pagina della Genesi, il « lavoro » di Dio, altrettanto lo è il suo « riposo »: «Cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro« (Gn 2, 2). Anche qui siamo di fronte ad un antropomorfismo ricco di un fecondo messaggio.
Il « riposo » di Dio non può essere banalmente interpretato come una sorta di « inattività » di Dio. L’atto creatore che è a fondamento del mondo è infatti di sua natura permanente e Dio non cessa mai di operare, come Gesù stesso si preoccupa di ricordare proprio in riferimento al precetto del sabato: « Il Padre mio opera sempre e anch’io opero » (Gv 5, 17). Il riposo divino del settimo giorno non allude a un Dio inoperoso, ma sottolinea la pienezza della realizzazione compiuta e quasi esprime la sosta di Dio di fronte all’opera « molto buona » (Gn 1, 31) uscita dalle sue mani, per volgere ad essa uno sguardo colmo di gioioso compiacimento: uno sguardo « contemplativo », che non mira più a nuove realizzazioni, ma piuttosto a godere la bellezza di quanto è stato compiuto; uno sguardo portato su tutte le cose, ma in modo particolare sull’uomo, vertice della creazione. È uno sguardo in cui si può in qualche modo già intuire la dinamica « sponsale » del rapporto che Dio vuole stabilire con la creatura fatta a sua immagine, chiamandola ad impegnarsi in un patto di amore. È ciò che egli realizzerà progressivamente, nella prospettiva della salvezza offerta all’intera umanità, mediante l’alleanza salvifica stabilita con Israele e culminata poi in Cristo: sarà proprio il Verbo incarnato, attraverso il dono escatologico dello Spirito Santo e la costituzione della Chiesa come suo corpo e sua sposa, ad estendere l’offerta di misericordia e la proposta dell’amore del Padre all’intera umanità.
12. Nel disegno del Creatore c’è una distinzione, ma anche un intimo nesso tra l’ordine della creazione e l’ordine della salvezza. Già l’Antico Testamento lo sottolinea, quando pone il comandamento concernente lo « shabbat » in rapporto non soltanto col misterioso « riposo » di Dio dopo i giorni dell’attività creatrice (cfr Es 20, 8-11), ma anche con la salvezza da lui offerta ad Israele nella liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (cfr Dt 5, 12-15). Il Dio che riposa il settimo giorno rallegrandosi per la sua creazione, è lo stesso che mostra la sua gloria liberando i suoi figli dall’oppressione del faraone. Nell’uno e nell’altro caso si potrebbe dire, secondo un’immagine cara ai profeti, che egli si manifesta come lo sposo di fronte alla sposa (cfr Os 2, 16-24; Ger 2, 2; Is 54, 4-8).
Per andare infatti al cuore dello « shabbat », del « riposo » di Dio, come alcuni elementi della stessa tradizione ebraica suggeriscono, (12) occorre cogliere l’intensità sponsale che caratterizza, dall’Antico al Nuovo Testamento, il rapporto di Dio con il suo popolo. Così la esprime, ad esempio, questa meravigliosa pagina di Osea: « In quel tempo farò per loro un’alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore » (2, 20-22).
«Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò» (Gn 2, 3)
13. Il precetto del sabato, che nella prima Alleanza prepara la domenica della nuova ed eterna Alleanza, si radica dunque nella profondità del disegno di Dio. Proprio per questo esso non è collocato accanto ad ordinamenti semplicemente cultuali, come è il caso di tanti altri precetti, ma all’interno del Decalogo, le « dieci parole » che delineano i pilastri della vita morale, inscritta universalmente nel cuore dell’uomo. Cogliendo questo comandamento nell’orizzonte delle strutture fondamentali dell’etica, Israele e poi la Chiesa mostrano di non considerarlo una semplice disposizione di disciplina religiosa comunitaria, ma un’espressione qualificante e irrinunciabile del rapporto con Dio annunciato e proposto dalla rivelazione biblica. È in questa prospettiva che tale precetto va anche oggi riscoperto da parte dei cristiani. Se esso ha pure una naturale convergenza con il bisogno umano del riposo, è tuttavia alla fede che bisogna far capo per coglierne il senso profondo, e non rischiare di banalizzarlo e tradirlo.
14. Il giorno del riposo è dunque tale innanzitutto perché è il giorno « benedetto » da Dio e da lui « santificato », ossia separato dagli altri giorni per essere, tra tutti, il « giorno del Signore ».
Per comprendere appieno il senso di questa « santificazione » del sabato nel primo racconto biblico della creazione, occorre guardare all’insieme del testo, dal quale emerge con chiarezza come ogni realtà, senza eccezioni, vada ricondotta a Dio. Il tempo e lo spazio gli appartengono. Egli non è il Dio di un solo giorno, ma il Dio di tutti i giorni dell’uomo.
Se dunque egli « santifica » il settimo giorno con una speciale benedizione e ne fa il « suo giorno » per eccellenza, ciò va inteso proprio nella dinamica profonda del dialogo di alleanza, anzi del dialogo « sponsale ». È un dialogo di amore che non conosce interruzioni, e che tuttavia non è monocorde: si svolge infatti adoperando i diversi registri dell’amore, dalle manifestazioni ordinarie e indirette a quelle più intense che le parole della Scrittura e poi le testimonianze di tanti mistici non temono di descrivere con immagini tratte dall’esperienza dell’amore nuziale.
15. In realtà, tutta la vita dell’uomo e tutto il tempo dell’uomo, devono essere vissuti come lode e ringraziamento nei confronti del Creatore. Ma il rapporto dell’uomo con Dio ha bisogno anche di momenti di esplicita preghiera, in cui il rapporto si fa dialogo intenso, coinvolgente ogni dimensione della persona. Il « giorno del Signore » è, per eccellenza, il giorno di questo rapporto, in cui l’uomo eleva a Dio il suo canto, facendosi voce dell’intera creazione.
Proprio per questo è anche il giorno del riposo: l’interruzione del ritmo spesso opprimente delle occupazioni esprime, con il linguaggio plastico della « novità » e del « distacco », il riconoscimento della dipendenza propria e del cosmo da Dio. Tutto è di Dio! Il giorno del Signore torna continuamente ad affermare questo principio. Il « sabato » è stato perciò suggestivamente interpretato come un elemento qualificante in quella sorta di « architettura sacra » del tempo che caratterizza la rivelazione biblica. Esso sta a ricordare che a Dio appartengono il cosmo e la storia, e l’uomo non può dedicarsi alla sua opera di collaboratore del Creatore nel mondo, senza prendere costantemente coscienza di questa verità.