Il riconoscimento di Gesù risorto sul lago
Gv 21,1-14
(tratto da F. Rossi de Gasperis, È risorto non è qui! Lectio sui vangeli della risurrezione, Pardes Bologna 2008, 111-116 passim)
La scena, che ha molti punti di contatto con il racconto della pesca abbondante riportata da Lc 5,1-11, è simile a quella di molte altre dei vangeli. Essa ha luogo in Galilea, sul lago. Nel Vangelo di Giovanni troviamo due tradizioni circa i fatti della risurrezione di Gesù: la tradizione gerosolimitana (Gv 20) e quella galilaica (Gv 21), mentre nel Vangelo di Luca leggiamo solamente i fatti di Gerusalemme. Matteo e Marco alludono, differentemente, a entrambe, ma in modo più sobrio.
L’atmosfera del racconto è simile a quella dei primi tempi del ministero di Gesù intorno al mare di Tiberiade, dove la pesca è l’attività normale, almeno per i discepoli di estrazione peschereccia. Ci sono sette di loro: Simon Pietro, Tommaso detto Didimo (ora presente) e Natanaele, di Cana di Galilea, i due figli di Zebedeo (Giacomo e Giovanni), e altri due discepoli. Simon Pietro, un pescatore professionale, prende l’iniziativa: “Vado a pescare!”. Sembra questa una decisione che venga improvvisamente a rompere uno spazio lungo di silenzio o di conversazioni e dispute concitate. Essi sanno già che Gesù è risorto (Gv 21,1.14), ma i suoi silenzi al di fuori degli intervalli di otto giorni (Gv 20,26), li lasciano ancora un poco attoniti e disorientati, specialmente dopo la loro fuga davanti alla croce, e dopo la triplice negazione di Simone. La reazione immediatamente solidale degli altri sei è: “Veniamo anche noi con te”.
La pesca ha luogo di notte, come di consueto, ed è totalmente infruttuosa. Quando si alza l’alba, eccolo, Gesù sta (estê) sulla riva, a un centinaio di metri dalla barca (200 cubiti: Gv 21,8), quindi non lontano. I discepoli, però, come sempre, non sanno che è LUI. Vedono qualcuno avvolto nella foschia del mattino, ma non possono coglierlo con i loro occhi e conoscerlo per colui che è, prima di essere colti da lui. È il Risorto, il soggetto che non è più in nessun modo un oggetto, colui che prende l’iniziativa. Lo si può cogliere ancora come un oggetto, ma in questo caso non è LUI, Gesù, il Signore riconosciuto e confessato dalla fede salvifica di Tommaso. Egli, dunque, è il primo che comincia: “Figlioli, non avete qualche cosa da mangiare?”. Ancora una volta, il Risorto si presenta affamato (Lc 24,29-30.35.41-43; cfr. At 1,3-4; 10,40-41). Gli rispondono piuttosto seccamente: “No!”. Essi non hanno niente, né per sé né per lui, perché per tutta la notte non hanno preso nulla, come già in Lc 5,5. Allora egli riprende: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. A volte, infatti, si possono vedere i banchi di pesci meglio dalla riva che dalla barca.
Il racconto si svolge con tutta naturalezza, ancor più che nel racconto lucano della pesca straordinaria. Là Gesù sta sulla barca e ciò che egli vede lo vedono anche Simone e gli altri. Qui emerge l’obbedienza semplice, umile e silenziosa di questi pescatori di professione. Essi si fanno dirigere da uno sconosciuto che non è del loro gruppo, gettano la rete e immediatamente in essa affluisce una straordinaria quantità di pesci, per cui tutta la barca ne rimane scossa. Essi non ce la fanno a tirare su la rete. Ecco il segno, come segni erano state nel sepolcro le bende per terra e il sudario piegato in un luogo a parte (Gv 20,6-7), come pure lo stesso sepolcro vuoto (Lc 24,2-4; Gv 20,1).
Di fronte a questa improvvisa abbondanza di pesce, che viene a colmare la loro precedente frustrazione, “quel discepolo che Gesù amava” dice a Pietro: “È il Signore!”. Vede il segno, e immediatamente crede (Gv 20,8). Questo discepolo è talmente orientato verso Gesù, ce l’ha talmente presente nella mente e nel cuore, che gli basta il più piccolo segno distintivo di LUI, per far emergere la disposizione a credere, che lo abita e glielo fa immediatamente riconoscere. Lo vede dappertutto, non perché veda fantasmi, ma perché questo brusco passaggio dal niente al tutto è un segno distintivo di Colui che ha trasformato l’acqua di sei giare di pietra in vino squisito (Gv 2,6-10); che ha sfamato cinquemila uomini con cinque pani d’orzo e due pesci (Gv 6,8-13). Gesù era l’assetato che offriva alla donna di Samaria un’acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv 4,10-15; 7,37-39), e alla folla nella sinagoga di Cafarnao prometteva un pane dal cielo, che dà la vita al mondo e fa vivere in eterno (Gv 6,26-58). Egli solo ha potuto cogliere con il suo sguardo consenziente centocinquantatre grossi pesci, che si avviavano verso la rete vuota di pescatori provetti, i quali avevano passato un’intera notte senza prendere nulla.
Simon Pietro non vede niente, ma ascolta le parole di quel discepolo, essendo abituato a dar fiducia al vecchio amico (Gv 13,23-26; 20,1-10; e probabilmente Gv 18,15-16). Egli ha una segreta deferenza per ciò che questo discepolo dice, e appena sente che il Signore è là, si riveste e si butta in acqua, mentre gli altri vengono in barca, trascinando la rete piena di pesci. Questi uomini, da quando sanno che Gesù è risorto, vivono elettrizzati, tesi a scoprire e indovinare nuove modalità di comportamento per rimanere in contatto con LUI, nel suo nuovo modo di esser loro presente. Scendono a terra e vedono un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane, un piccolo pasto preparato da lui. Egli li invita a portare anche un po’ del pesce che hanno appena pescato. Impossibile non ricordare il pane e i due pesci che un giorno sfamarono i cinquemila. Simon Pietro sale subito sulla barca e trae a terra la rete piena di pesci. Gesù li invita a mangiare. “E nessuno dei discepoli osava domandargli: ‘Chi sei?’, poiché sapevano bene che era il Signore”.
Che significa questa osservazione? Non era mai avvenuto, nelle loro relazioni con il Gesù terreno, che a qualcuno venisse in mente di domandargli: “Chi sei?”. Ora, si trovano davanti a lui, sulle rive del lago. Sanno bene che è lui, e tuttavia gli si potrebbe ancora domandare: “Chi sei?”. Vuol dire forse che il suo riconoscimento e la sua identificazione, pur escludendo ogni dubbio, rimane esposta a quella delicata sospensione che è propria del rapporto tra persona e persona, e non tra una persona e una cosa. Il loro sapere che si tratta proprio di lui, non è un averlo in mano, non è un suo cadere sotto i loro sensi. È piuttosto un farli stare davanti a lui senza la possibilità di fare di lui una cosa, o di essere fatti cosa da lui. È soprattutto sapere che Egli è il Signore!
Fin dal primo incontro, sul Giordano, gli avevano chiesto: “Rabbi dove abiti?” (Gv 1,38). E avevano concluso: “Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele!” (Gv 1,49). Al suo ripetuto presentarsi come “il Figlio dell’uomo”, poi, le folle avevano domandato: “Ma chi è dunque questo Figlio dell’uomo?” (Gv 12,34). All’annuncio di una sua partenza, Simon Pietro aveva replicato: “Signore, dove vai?” (Gv 13,36; cfr. 14,5), e Pilato, nel pretorio gli aveva posto una domanda cruciale: “Di dove sei tu?” (Gv 19,9). Tutte queste domande trovano qui adesso la loro risposta sicura: È il Signore! È una risposta, però, che non fa sparire, nemmeno qui, un velo di dubbio imprudente, che rende il loro “sapere” una fede, molto più che una scienza.
Allora Gesù si avvicina, prende il pane e il pesce e li dà loro: è il gesto della Cena, quello drammatico e solenne della “fractio panis” di Luca: il segno del suo spezzamento nella morte, vinta ormai da questa sua celebrazione, ora che egli è vivente per sempre. A tale segno memoriale di una sera sconvolgente, di fronte a cui la prima volta erano fuggiti, essi sono invitati oggi a dire di sì, nella luce radiosa di questo mattino, come avevano fatto già due discepoli, una sera a Emmaus. Era questa la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli risuscitato dai morti.