Edicola dell’Ascensione
L’evangelista Luca, al termine del suo vangelo e all’inizio del libro degli Atti, colloca sul Monte degli Ulivi l’ascensione di Gesù al cielo, quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Un’antica tradizione identifica l’impronta dei piedi di Gesù sulla cima più alta della montagna.
Eusebio di Cesarea riporta che Costantino (tra il 320 e il 333) aveva eretto una basilica sulla grotta nella quale Gesù aveva ammaestrato i suoi discepoli e che, in questo stesso luogo, si ricordava l’Ascensione. Presto però si costruì un edificio proprio sulla sommità del Monte, considerata dai cristiani il luogo esatto dove Gesù era asceso al cielo. Da allora questa localizzazione non è mai stata messa in discussione.
La struttura fu eretta dalla pia matrona Pomenia nel 376. Si trattava di un edificio a pianta centrale, al quale fu annesso un oratorio e un monastero per uomini, fatto costruire da Melania la Giovane perché fosse a servizio della basilica. Secondo quanto ci riferisce Egeria, la comunità di Gerusalemme si riuniva all’Imbomon la Domenica delle Palme, il Giovedì santo, ogni pomeriggio dell’ottava di Pasqua e la domenica di Pentecoste; in questo giorno, prima si pregava all’Imbomon e poi si passava all’Eleona.
Pare molto strano che Egeria, parlando delle funzioni religiose che avevano luogo dove Gesù era salito al cielo, non parli mai di una chiesa; si limita semplicemente a ricordare l’Imbomon, termine greco che significa “cima”. Probabilmente la chiesa fu costruita dopo il suo rientro in patria. Agli inizi si può pensare che il luogo dell’Ascensione sia stato sistemato alla buona per accogliere i pellegrini: quindi santuario sì, ma chiesa no.
Dopo la disfatta definitiva dell’esercito cristiano, il luogo dell’Ascensione divenne una pia fondazione islamica.
Del santuario crociato si conserva, anche se trasformata, la cappella ottagonale, con bellissimi capitelli in marmo. Del recinto ottagonale non resta quasi più nulla. In base al fatto che la recinzione crociata era ottagonale, alcuni conclusero che anche la chiesa doveva avere quella forma. Dato che il santuario è di proprietà islamica, non è possibile condurre un’esplorazione archeologica completa anche se la parte orientale appartiene ai francescani, ai greci e agli armeni ortodossi. La proprietà francescana, che si trova a sud-est, è stata esplorata nel 1959 dal P. Virgilio Corbo. I greco-ortodossi e gli armeni fecero la stessa cosa nel loro terreno.
Lo scavo ha messo in luce un muro curvo, spesso 1,56 m, e dei contrafforti che provano la forma circolare della chiesa bizantina e questo in accordo con il disegno lasciato da Arculfo (670). Vennero alla luce anche le fondazioni dei monasteri di S. Melania. È molto importante il ritrovamento del livello originario del monte a ben 8 m di profondità sotto il pavimento dell’edicola crociata.
Si tratta, indubbiamente, di ritrovamenti importanti ma insufficienti per poter ricostruire esattamente il santuario bizantino. Il P. Corbo, tenendo presente la relazione e il disegno di Arculfo, ipotizzò la presenza di tre porticati a volta, un portico inferiore (in parte ritrovato) e due portici superiori che circondavano uno spazio a cielo aperto, per meglio ricordare l’Ascensione di Gesù al cielo.
Paolino di Nola (403) e Sulpizio Severo (405) raccontano che i costruttori dell’edificio non riuscirono a livellare e pavimentare il luogo dove Gesù aveva posati i piedi, perché furono continuamente disturbati e interrotti da una serie di fatti prodigiosi: per quanto facessero, le impronte dei piedi di Gesù affioravano sempre.
Con l’invasione islamica fu fatta togliere la croce sulla sommità del santuario; tuttavia, anche se in forma ridotta, si continuarono a compiere i pellegrinaggi liturgici. L’edificio però andò progressivamente in rovina, ma verso il 1120-1170 i cristiani di Gerusalemme posero mano a un restauro.
Durante l’assedio di Gerusalemme (1187) i crociati fecero una processione solenne di penitenza fino alla chiesa.
Sempre in età crociata, nel santuario restaurato era presente una comunità di monaci agostiniani e sul monte vi era anche una fortezza che doveva proteggere, con quelle di Betania e del Buon Samaritano, la strada da Gerusalemme a Gerico. Cacciato l’esercito cristiano, Saladino attribuì la “terra del Monte degli Olivi” a due famiglie musulmane. La chiesa non aveva subito gravi danni, ma la cappella centrale fu trasformata in moschea.
All’interno dell’edicola crociata dell’Ascensione, al centro, si mostra una pietra la quale, secondo un’antichissima tradizione, recherebbe le impronte dei piedi di Gesù, lasciate al momento dell’Ascensione. Oggi questa pietra è ancora visibile ma una delle due impronte è quasi scomparsa perché i pellegrini le raschiano per portar via un po’ della loro polvere. Si racconta che, a partire dal 1600, i muftì di Gerusalemme solevano inviare al Sultano una fiala di cristallo con un po’ di polvere caduta nell’incavo della pietra.