Le Beatitudini (Mt 5,1-12)
Adattamento da Silvano Fausti, Una comunità legge il Vangelo I, EDB, Bologna 1999 61-64 (passim)
Dono da chiedere nella preghiera
- Capire il misero del Signore che èpensa il contrario di me e perché
- Gustare le parole del testo scoprendone le bellezza e consiedrando che Gesù l’ha vissuta
1Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3″Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi. (Mt 5,1-12)
Punti per la meditazione
v.1: Viste le folle. Il discorso è destinato alle “folle”, all’umanità oppressa dal male che occorre a lui dai quattro punti cardinali (4,23ss). Le parole che seguono sono la terapia che li fa uomini nuovi, con la stessa sapienza del figlio. Salì sul monte Dio sul Sinai reivelò la Parola. Qui si manifesta i Figlio, prototipo di ogni fratello, Parola perfettamente compiuta. Messosi a sedere. Gesù “cammina” quando insegna con la vita (cf. 4,18); “siede” quando dice la Parola che spiega la sua vita. Gli si avvicinarono i suoi discepoli. Sullo sfondo c’è la folla anonima. Discepolo è colui che “impara”: gli si fa vicino per ascoltarlo e seguirlo.
v.2: aperta la sua bocca. Apre la bocca per rivelarci se stesso, Verbo eterno del Padre. Gesù è colui che dice e che è detto, colui che parla e la Parola stessa. Insegnava. Il verbo, all’imperfetto, indica un’azione non finita: lui di continuo ci istruisce, e noi siamo da lui istruiti. L’essenza del discepolo (=colui che impara) è essere “imparato” dal maestro.
v.3: beati. Per otto volte più una (v.11) Gesù ripete il ritornello, perché si imprima in noi il “giudizio” diDio, così diverso dal nostro. Le sue parole hanno una carica eversiva unica: capovolgono il mondo e i suoi principi. Gesù si congratula con gli svantaggiati, perché hanno il “grande vantaggio”: Dio è per loro, con loro, uno di loro! La radice della beatitudine, ovviamente, non è lo star male, ma la “giustizia di Dio”, che non “dà a ciascuno il suo”, ma secondo il bisogno, privilegiando chi ha di meno. Le beatitudini non devono essere un alibi alla nostra ingiustizia: se i poveri sono beati, lascino in pace i ricchi! Anzi, scardino la radice dell’ingiustizia, che viene dal fatto che noi consideriamo beato chi è ricco, possiede e domina. Se questo è il nostro criterio di valori, è chiaro che commettiamo ingiustizie. Solo se lo capovolgiamo, c’è un mondo buono e bello. I poveri. In greco non è scritto: “povero”, che indica uno che ha poco e con pena, a differenza del ricco, che ha tanto senza fatica. E’ scritto: “pitocco”, che indica uno che si nasconde, è indigente, mendicante. Il pitocco non ha niente, neanche la dignità di un volto da salvare: vive di dono. La povertà è da noi associata a una colpa o a minor valore. Nell’AT la ricchezza è sì dono di Dio, ma la povertà è colpa del ricco, che rua o non condivide con il fratello.
In spirito. L’espressione per noi è strana. Si tratta degli anawin ruah di Qumram, i “piegati nello spirito”, gli umili, quelli che hanno il cuore del povero, in contrapposizione agli orgogliosi, di “dura cervice”. Il povero è necessariamente umile: vive di ciò che l’altro gli dà. Questa è la condizione del Figlio, che tutto riceve dal Padre, ance l’essere se stesso. Ognuno di noi è ciò che ha ricevuto (1Cor 4,7).
La povertà è il “vuoto” che tutto riceve: quella assoluta riceve l’Assoluto. La povertà in spirito e l’umiltà, caratteristica del primo amore. La comprende chi ha gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (cf. Fil 2,5-11). Dio è essenzialmente povero. Non possiede nulla: è tutto dell’altro. Il suo stesso essere è essere del Figlio, se è il Padre; essere del Padre, se è il Figlio; essere del Padre e del Figlio, se è lo Spirito.
Perché. Il motivo della beatitudine non è la povertà, ma il “perché” che ne consegue: Dio al povero fa i suoi doni, anzi dona se stesso. La povertà è la condizione per accoglierlo.
È. La prima e l’ultima beatitudine sono al presente, le altre al futuro. Il regno di Dio è già dei poveri e dei perseguitati (v.10). Ma rimane la tensione verso un futuro diverso. Il dono non abolisce il cammino della storia: la cambia dandole una meta, che il futuro rende evidente. La pianta viene dal seme che è stato deposto. Nessuno si illuda: ognuno raccoglierà ciò che ha seminato (Gal 6,7); e chi semina nel pianto, mieterà con giubilo (Sal 126,5). Contro ogni tentazione trionfalistica e millenaristica, il Regno è, al presente, sempre del povero e del perseguitato. Il regno dei cieli. Il regno di Dio è Dio stesso che regna. Dio è Padre: il suo regno è il Figlio che nella fraternità realizza la sua filialità.
v.4: beati gli afflitti. Il povero è afflitto: a lui va male. Infatti piove sempre sul bagnato. L’afflizione è una tristezza con pianto, un traboccare all’esterno di un’incontenibile pena interna. Saranno consolati. Il presente di afflizione ha un futuro diverso (cf. Is 61,1ss). “Consolazione” indica la gioia del mondo nuovo, in cui non ci sarà più il male. Esso c’è ancora, ma non è più la parola definitiva: si può e si deve sperare e agire contro di esso. Il futuro non è la santificazione del presente. Gesù piangente su Gerusalemme e oppresso nell’orto, ha affrontato la croce guardando alla gloria che egli era posta innanzi, e ora si siede alla destra di Dio. Guardando a lui e, soprattutto, seguendo lui, non ci scoraggiamo (Eb 12,2). Anzi: abbondiamo di consolazione in ogni tribolazione (2Cor 1,5). Il risus paschalis pervade ormai la nostra esistenza. Il suo destino è anche il nostro; per questo “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18).
v.5: beati i miti. Mite è chi non fa valere i propri diritti e cede piuttosto che adirarsi. E’ il contrario di chi ha la mentalità “vincente”: non aggredisce, non ha “grinta”, non vuole dominare, non sopraffà nessuno. Chi ama è sempre mite. Il povero è costretto a esserlo. Il comportamento modifica il sentimento! Erediteranno la terra (Sal 37,11). La terra, che fornisce da vivere, è simbolo dello Spirito, che è vita. La terra promessa è la promessa dello Spirito. Chi ha lo spirito padronale la perde; chi ha lo spirito del povero, ne ha l’eredità: è figlio, uguale al Padre, con il suo medesimo amore verso i fratelli. Mite è Mosè (Nm 12,3), colui che porta il regno (Zc 9,9), Gesù (11,29; 21,5). Se i regni della terra appartengono ai furbi e ai prepotenti, che hanno “della volpe e del leone” (Machiavelli), il regno dei cieli appartieni ai semplici e ai miti.
v.6: beati quelli che hanno fame e sete di giustizia (Sal 107,5.8s). Fame e sete sono bisogno di vita, e la vita è “la giustizia”, la volontà di Dio, il suo amore per tutti. Beato chi ha fame e sete di vivere sulla terra il suo amore di Padre che è nei cieli. Saranno saziati. La sazietà è pienezza di vita. Gesù, che compie ogni giustizia facendosi solidale coi fratelli perduti (3,15), è il Figlio, pieno della vita stessa del Padre (3,15-17). Da lui, fatto pane, anche noi prendiamo forza e sazietà filiali.
v.7: beati i misericordiosi. Sono coloro il cui cuore si lascia toccare dal male altrui come fosse il proprio. La misericordia è la forma fondamentale dell’amore: passione che si fa com-passione. Troveranno misericordia. Il misericordioso trova Dio stesso, che è misericordia, e se stesso, figlio suo, misericordioso come il Padre (Lc 6,36; cf. Mt 5,48). E’ l’unica beatitudine dove ino trova nel futuro ciò che già ora ha!
v.8: beati i puri di cuore (Sal 24,4; 73,1). Il cuore centro della persona, contiene “l’uomo nascosto” (1Pt 3,4): il Figlio, che per la fede abita nel nostro cuore (Ef 3,17). Chi ha il cuore puro, non ottenebrato da tanti desideri e paure, lo trova. Vedranno Dio. Il cuore puro è un occhio trasparente che vede Dio. E lo vede in tutte le cose, perché lo ha dentro e lo proietta su tutto. La purezza di cuore si ottiene con la retta intenzione: chi in tutto cerca solo Dio, trova lui, che è tutto in tutti (1Cor 15,28).
v.9: beati i pacificatori. Fare pace tra gli uomini significa renderli fratelli. Saranno chiamati figli di Dio. Rendere fratelli è l’opera del Padre e di chi già è figlio.
v.10: beati i perseguitati a causa della giustizia (1Pt 3,14; 2,19). Chi ama il Padre e i fratelli, si scontra con il male: trova ostilità e persecuzione, in sé e fuori di sé. La pace non è mai pacifica: costa la croce del pacificatore (cf. Ef 2,13s); come a Gesù, così ai suoi discepoli, che ritengono una “dignità” l’essere disprezzati come lui (At 5,41). Di essi è il regno dei cieli. Il regno dei cieli, qui sulla terra, permane sotto il segno della croce. LA vita del discepolo è “sotto il vessillo della croce”, luogo d’incontro tra l’ingiustizia dell’uomo e la giustizia di Dio, amore per tutti gli ingiusti. “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. (At 14,22). Noi pensiamo che le contrarietà lo ostacolino. Ma la nostra è la vittoria dell’Agnello, vittorioso proprio perché immolato.